sabato 19 maggio 2012

P.P.P. secondo Palladini: il randagismo dell'umanista

«Il mio masochismo si originò dalle liti tra i genitori, da cui poteva salvarmi soltanto il desiderio di essere ucciso». Pier Paolo Pasolini riletto da Marco Palladini, in un nuovo corpo a corpo che trae forma, stavolta, non dal recinto del sacro, ma dall’incendio scaturito dalla scena primaria, il padre la madre e il figlio. Non-spettacolo, non-recital, Fratello dei cani (Pasolini e l’odore della fine) è un omaggio puro, disinteressato, che dispone sul palcoscenico quello che, con tono sommesso, scova e ricostruisce dal mito delle origini, volgendo in dialogo lacerti di doppie biografie. Ed ecco il genitore fascista ridotto sulla sedia a rotelle incappucciato dentro il proprio stesso terrore (Fabio Traversa, come sempre intimo, delicato nei suoi accessi al personaggio), infierire contro il figlio “democratico” che avrebbe voluto uccidere e che, in certo modo ucciderà. Mentre la figura della madre “mitologica” avanza sullo schermo in un mezzogiorno di luna ricreato nel deserto romano, con la voce ipnotica di Cinzia Villari, il bel volto incastonato nei pensieri che dice: apparizione che sarebbe di certo piaciuta a Pasolini. Amedeo Morrone interpreta dal vivo i canti di una disperazione vitalistica, tra le scene che si dispiegano l’una dopo l’altra al Teatro Centrale Preneste. Tessendo la partitura di cose e parole immolate alla luce di dentro, Palladini mette in scena anche la propria metamorfosi. Si cammina per ore giorni secoli. In presenza e nelle belle immagini video (di Iolanda La Carrubba). «Non c’è pranzo o soddisfazione del mondo/che vanga una camminata senza fine per le strade povere/dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani» scriveva P.P.P. Dove la forza è tutta dalla parte della giovinezza che prelude ad una incandescenza del corpo, ad una promessa di contatto e di contagio, un sacro bisogno di bruciare. Ma cosa succede quando la giovinezza se ne va? Fratelli dei cani coglie proprio quel momento di trapasso, la soglia dolorosa in cui, un attimo prima di morire a se stessi, si scopre con sconcerto di non essere più figli. Nel vuoto di una città dove non si incontra più nessuno con cui ardere e consumarsi, non si può che camminare ancora, fino alla fine, indossando in solitudine la maschera del padre, in compagnia del proprio irriducibile umanesimo. (www.centraleprenesteteatro.blogspot.itucibile umanesimo. (www.centraleprenesteteatro.blogspot.it)

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